Ancora oggi le antiche mura della duecentesca Sant'Alò parlano di storia e di religione, di distruzione e ricostruzione.
Molti sono stati nei secoli i restauri, a volte anche drastici, a cui è stata sottoposta la chiesa che ne hanno parzialmente modificato l'aspetto; diverse anche le destinazioni d'uso.
Una storia millenaria, frammentariamente documentata solo dalla fine del Quattrocento in poi, è stata riportata alla ribalta da studiosi e professionisti in occasione di convegni e incontri pubblici.
L'ultimo di questi si è svolto nel 2005 promosso dall'associazione culturale "Maria Cristina di Savoia" di Terni, che successivamente ha raccolto gli atti in una pubblicazione, edita quest'anno:
"Sant'Alò nella storia e nella leggenda"realizzata con il contributo della Fondazione Cassa di risparmio di Terni e Narni.
I testi di storia, architettura, arte e tradizioni sono stati curati da Renzo Pardi, da Guerriero Bolli, Maria Cristina Marinozzi, Mariella Lucioni, Corrado Fratini, Bruno Cagnoli, Carlo Romani, p.
Vasile Andreca, Adolfo Bettini. Tra le antiche mura della chiesa, l'Ordine dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, nel XII secolo, prestava assistenza ed accoglienza a bisognosi, malati e viandanti.
Come molte altre chiese, anche Sant'Alò passò di mano in mano tra diversi ordini religiosi: dagli Agostiniani che costruirono l'attiguo convento, all'Ordine di Malta che la lasciò decadere fino a farne sede di un'officina di un fabbro.
Donata agli inizi del Novecento alla diocesi, la chiesa ospitò, dal 1960, il convento di clausura delle suore Clarisse; poi, alla fine degli anni Novanta, divenne sede del seminario diocesano.
Oggi è il luogo di culto della chiesa ortodossa, che ospita in prevalenza le celebrazioni della comunità romena umbra.
Una storia che sempre è stata segnata dalla grande varietà di soggetti, che hanno fatto di questo piccolo gioiello nel centro storico di Terni, uno scrigno di fede, di formazione e di religiosità aperta al mondo.
La scelta di donarla per il culto della chiesa romena ortodossa risale al 2001, quando monsignor Vincenzo Paglia, vescovo di Terni Narni Amelia, in occasione della solenne chiusura della settimana di preghiera per l'unita dei cristiani, tenutasi il 25 gennaio 2001 nella Cattedrale di Terni, decise di offrire alla comunità romena ortodossa una chiesa in cui poter pregare nella propria lingua e secondo la tradizione orientale, ma soprattutto che divenisse segno visibile e concreto di unità tra chiese sorelle.
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Già agli inizi dell'anno 1200, lingue diverse risuonavano tra le mura di questa chiesa, uno degli edifici di culto più antichi e affascinanti della città di Terni, racchiusa tra le vie suggestive dell'antico quartiere Rigoni, che conserva resti di un passato a volte poco conosciuto.
Sant'Alò è un pregevole esempio di chiesa romanica, con la facciata adorna di materiali di spoglio di origine romana e medievale.
Ancora più importanti per fattura e significato gli affreschi interni che decorano pareti, colonne e pilastri che vanno dal '200 al '600.
La chiesa fu dedicata al santo Aloysius (Eligio), un orafo vissuto nel sec. VI alla corte dei re Merovingi. Fu realizzata sui resti di un edificio più antico dedicato alla dea Cibele, come sembrerebbero testimoniare i quattro leoni incastonati sulla facciata, che le antiche tradizioni associavano al culto di questa dea.
Era caratterizzata da una facciata a capanna con la navata centrale più alta rispetto alle laterali e con un'alta torre avente funzione di campanile.
La costruzione di un palazzo davanti all'antica facciata, nel sec. Xiii, comportò la chiusura della strada che immetteva sul fronte della chiesa e l'ingresso fu spostato sul fianco destro, quello attuale con i due leoni di epoca romana posti a protezione del luogo.
La chiesetta è caratterizzata da una notevole semplicità di impianto e dal fatto che manca di facciata essendo accostata agli edifici che la circondano.
Nel paramento murario esterno sono presenti numerosi frammenti di sculture romane e longobarde riutilizzati come decorazione esterna.
Sopra il portale, una graziosa formella con la Madonna della Misericordia (sec. Xv), invocata contro il flagello della peste. Una prima consistente trasformazione della chiesa risale al Quattrocento quando fu costruita la casa dell'ordine agostiniano e fu occultata la facciata originaria con l'ingresso che venne spostato all'altezza della torre.
Due furono i restauri più consistenti: il primo risalente agli inizi del '900 ad opera di Cesare Bazzani e il secondo nel 1959 che ha portato alla ricostruzione della navata sinistra andata distrutta nel tempo.
di Elisabetta Lomoro
Il Messaggero Venerdì 7 Agosto 2009
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